03 marzo 2010


Parlare di musica è come ballare di architettura” - Frank Zappa

Piccola premessa:
E rimarchevole ciò che mi è successo fra ieri e oggi. Avevo cominciato ieri a stendere questo testo quando il computer ha crashato (ah, i neologismi), insomma si è bloccato, con una di quelle tipiche e amabili schermate blu, lasciandomi seduto nella penombra del mio divano letto solo con la mia frustrazione (e stanchezza). Ma vengo al punto. Stavo scrivendo di come il linguaggio fosse... come dire... ora la parola che meglio sintetizza tutto è “plurale”, ovvero non univoco. Si blocca il computer, ora devo riscrivere le stesse cose, ma ovviamente quei concetti così “birichini” si ripresentano in tutt'altra forma, ovvero con diverse parole, con altre frasi, altre strutture mentali.
Dovrebbe farmi piacere, del resto è un'altra prova a sostegno delle mie ipotesi. Seguono riflessioni a ruota libera.

Una volta scrissi un tema sulla Scrittura. Curioso abbastanza che della Scrittura si possa scrivere, del Linguaggio si possa parlare, mentre non si può suonare di musica o progettare di architettura. Ogni lingua ha le sue parole, ma questo è un altro discorso.
Le parole, sì, la scrittura... E' davvero l'unica magia concessa all'uomo. Un arte è infatti quella di produrre un discorso; mentre tutti sanno ammassare parole una sull'altra, relativamente pochi sanno creare qualcosa che abbia caratteristiche degne di nota.
L'arcano di rivestire un concetto, un'idea, un qualcosa di indescrivibile... di qualcosa che ambisce a veicolarne il significato; un simbolo, una sintesi di ciò che è. Parole come mattoni, come atomi, come cellule... Possono essere raggruppate insieme a formare strutture vitali, reali, funzionali.
Il linguaggio esiste in virtù del fatto che esiste chi è in grado di comunicare. Questa non è una banalità. Esso può assumere innumerevoli forme, colori, lingue e espressioni, ma fa riferimento sempre alle stesse verità di fondo. E le incomprensioni sono in realtà conseguenze della nostra imperfezione. La comprensione non è qualcosa che il linguaggio porta con sé; è qualcosa che esso incontra, trova, anzi, ritrova nell'individuo che riceve il messaggio.
Questo è palese esaminando i linguaggi della natura; la perfetta armonia delle leggi fisiche e come la loro vicendevole interazione infine produca in noi non soltanto un godimento intellettuale ma un coinvolgimento profondamente emotivo, come davanti al drappeggio dei petali di un fiore, un impressionistico tramonto o un misterioso e sconfinato cielo stellato.
L'uomo vorrebbe arrogarsi il diritto di stabilire cosa sia l'arte – il linguaggio – allontanandosi dalla regola concreta, ricercando l'astratto, il puro, il matematico, finanche il caos. Ma non si rende conto che ciò che egli percepisce come “sublime” obbedisce alle stesse regole che hanno reso possibile il suo progresso tecnologico, le stesse regole che rendono possibile percepire l'armonia nella musica. Ma questo è un altro discorso ancora.
Ancora, le parole, i discorsi, sono come fiocchi di neve... Sanno cadere con indifferenza, leggiadria, anche silenziosamente, e potrebbero sembrare anche ridondanti, ovvi. E invece ogni fiocco è clamorosamente unico, seppur appartenente alla stessa famiglia, alla stessa specie! Ogni uomo ha il diritto di fregiarsi della sua unicità, ma quanta modestia induce in noi pensare che ogni anno, ogni giorno, cadano più identità uniche dal cielo di quante ne nascano dagli uomini! E allora non è più solo un diritto, ma un dovere, quello dell'espressione, e prima (e durante) dell'espressione la ricerca, la meditazione, la riflessione, l'acquistare discernimento, per prima cosa di noi stessi, e poi degli altri.
Utopia! Questo ovviamente è un ideale! Come mai si può pensare di riuscire a conoscere tutto? Ma questa è la nostra natura, la ricerca a tempo indefinito, la coscienza umana si proietta verso l'eternità proprio per questo. O grazie a questo. (Mai confondere causa e motivo).
Tornando alla mutevolezza, alla pluralità delle vie che i discorsi manifestano (e anche a loro volta i linguaggi che li contengono): sono come luce, si sta sdraiati sotto un albero e si guarda il cielo attraverso le fronde... Ogni attimo la luce che penetra fra le foglie è diversa dall'attimo precedente, vuoi per la posizione delle varie parti della pianta mossa dal vento, vuoi per il movimento delle nuvole, la variazione di umidità, di temperatura, di altezza del sole, di moti caotici dell'ossigeno e del vapore acqueo che esala dalle foglie, ognuno con il suo indice di rifrazione... Per non parlare dello stato fisico dell'occhio, elettrico del sistema nervoso, e mentale, dell'osservatore.
Tuttavia continuiamo a vedere lo stesso paesaggio, lo stesso albero, la stessa scena. Che paradosso! La stessa cosa non è mai la stessa cosa, in senso stretto. Ed ecco che solo pronunciare una parola la altera, perché se la parola è solo una serie di onde di pressione nell'aria, percepite come suono, ciò che essa contiene, il senso di cui si fa vessillo, quello vibra dentro di noi (e attenzione, in modo diverso da ognuno di noi). Ecco qui che quello che io sto dicendo non verrà mai perfettamente inteso così come lo sto pensando (ho scoperto l'acqua calda?) ma comunque raggiunge l'obiettivo. E' una questione di “risoluzione”, per dirla in termini ottici. Più piccolo l'elemento che costituisce il reticolo, maggiore il dettaglio riprodotto e percepito. E ritorna quindi l'importanza della riflessione, della capacità “artistica” del comunicante: la sua lingua è lo strumento che deve essere affinato, velocizzato, potenziato, per distinguere le parti più piccole e sincerarsi così che il messaggio giunga a destinazione in maniera soddisfacente. Anche perché chi vuole davvero comunicare, considera tutti (o per lo meno la maggior parte) suo pubblico, e va da sé, è solo naturale e giusto che ci si curi della comprensione da parte del pubblico. Anche perché altrimenti il discorso si riduce a un esercizio allo specchio, per il quale possiamo essere anche quasi illimitatamente soddisfatti, ma che resta uno sterile esercizio se non riveste la vera natura del linguaggio: lo scambio.

E qui chiudo perché se mi fai parlare anche dello scambio ci faccio notte...!