
Mobilizing forces .2

Voleva raccontare una storia
una storia
ma per dire cosa
neanche lui sapeva cosa
non lo sapeva bene
e così bene o male iniziò a cantare
era un giorno freddo
anzi no era estate
si c'era il sole
il sole dentro
c'era il sole ed era felice,
felice come l'ultimo cristallo di ghiaccio che si scioglie al primo tepore
felice come un vagabondo
felice come l'ultimo degli elettroni dentro il cavo del suo basso
voleva raccontare una storia
perché era felice e si sentiva ispirato
ma non ne ebbe il tempo quel giorno.
Voleva raccontare una storia
non aveva ancora idea di cosa dire
ma qualcosa sarebbe venuta,
di certo,
non poteva sbagliarsi
nel fremere sulla consueta sensazione che precede l'ispirazione
era ancora felice
il suo sole stava tramontando ma ne sentiva ancora gli ultimi raggi
gli ultimi raggi
rossi a carezzarle il volto, bionda parentesi
su azzurro andante al grigio di un lago
di un mare d'amore
ma allora fu interrotto,
fu interrotto l'incanto, sull'orlo del sogno, un attimo prima della pulsazione più forte
e tutto svanì.
Voleva ancora raccontare una storia
gelo dentro, notte fuori, luci sfocate e acqua dalle gelide dita carezzante il mondo
mondo sterile senza forza, il sonno lo invadeva
ma dentro serbava ancora la sua storia,
la storia che voleva raccontare,
e non gli riusciva di dormire con quel sacchetto dentro l'anima,
quella debole spinta sotto il suo cuore che non se la sentiva di rinunciare
e allora un ultimo viaggio, l'ultimo, verso l'ignoto
labbra straniere rosse, socchiuse, proclamano arcani
motivi di risveglio
droga totale
precipita senza freni, non intende
non intendeva cadere, non intendeva fermarsi
dentro di lei, il cuore della notte,
e quello del giorno, sole abbacinante di oasi metropolitana vestito bianco e sfocatura da videomusic
scalza essenza di passione, linea di sole
va verso di lui,
lo scalda,
lo ustiona quasi, ma non sente dolore,
gioisce
riposa
un arco verso il cielo di tutta forza canto di liberazione gratitudine.
Il tempo di un proiettile è infinito.
Un istante ne vale mille, un milione, forse di più.
Lo sceriffo e il bandito si guardano, come immortalati da un fotografo passante per caso, angolazioni di raggi virati al seppia, rallenty automatico di vita.
Tutto è calma, tutto è fermo, neanche l’occhio di chi guarda si muove, il vento sussurra lunghi secondi nella sabbia davanti al saloon. Il barbiere impasta la sua schiuma dopo aver posato il rasoio, guarda non troppo sorpreso i due in strada, vagamente sfiorato dall’idea che un proiettile possa poco più che vagamente sfiorarlo mandandolo all’altro mondo.
Diavolo di mondo, pensa.
Man mano la vita rallenta ancora, fino a quasi fermarsi, è il turno delle mani. Due mani scattano all’unisono, guardali, sembra una sola persona allo specchio, lo stesso cappello che rischia di venire portato via da una folata di vento appena un po’ più insistente.
Una pausa, un break, in cui tutta la città ha appena il tempo di tirare uno spasmodico respiro, poi di nuovo fermi, le canne oscure foriere di morte dal loro ignoto fondo senza scopo.
Il sole si ferma. L’orologio rallenta i battiti, si adegua ai due cuori pulsanti allo stesso modo, non vuole distrarli, sa che è un momento importante – non sa bene perché, ma è nella natura degli orologi; lo sa, e basta.
Le due dita sostano per un tempo indeterminato e indeterminabile sui grilletti, accarezzando la patina di sudore che separa la vita dal metallo. La polvere danza intorno, lasciando la visuale chiara quanto basta, irritando gli occhi.
Il tempo di un proiettile è infinito.
Fosse stato un sasso, una foglia, un pezzo della trave del tetto della banca, una pozzanghera di fango, la stella dello sceriffo, il cavallo del bandito... Si sarebbe già stancato. Tutti quei secoli di silenziosa attesa li avrebbero sfibrati tutti, a uno a uno, finché solo polvere ne sarebbe rimasta, e forse il ricordo. Ma niente di più.
Ma non così un proiettile. Un proiettile può aspettare anche per tutto il tempo del mondo. Il tempo di un proiettile è infinito.
La mano dello sceriffo trema, increspando di piccole onde la quiete dell’attesa. L’occhio del bandito ha un tic nervoso. Le dita dei piedi negli stivali si muovono lentamente, ansiose di mettersi in moto e di decidere la vita di entrambi, e sia quel che sia.
Il barbiere mette via la ciotola col pennello. Chiude la porta, e si siede dietro il bancone. Speriamo che non fracassino la mia vetrina, pensa.
Non si capisce bene cosa, forse un capello cade allo sceriffo, o forse una goccia di sudore del bandito colpisce il terreno con un pizzico di impeto di troppo. Non si capisce bene, ma d’un tratto il tempo del proiettile finisce.
Il tempo di un proiettile è infinito.
Di un giorno bruciato dal niente racconterò
a nessuno, ma negli occhi lo leggeranno tutti. Di niente, di niente parlerò.
Mi ascolteranno i fiori,
che nel loro ridere al sole possono sopportare tutto.
Mi applaudiranno gli uccelli, che nel loro volare s'imbattono spesso nella
mia anima. Mi baceranno i poeti,
che nel loro amare immenso mi riconoscono
loro gemella. Io che sono sabbia e terra, io incapace di parlare, io che
nel mare desidero dormire, io il niente lo lascerò a nessuno.
E questo giorno sarà dimenticato.
“Maestro, insegnami”
“Bene. Sappi che non ti darò verità assolute. La verità assoluta è e risiede esclusivamente nel Creatore e si manifesta attraverso il suo agire.
Sappi inoltre che non ti dirò niente che tu non sappia già, in fondo al tuo cuore. Ritroverai le tue conoscenze dimenticate nelle mie parole.
Questa energia è più potente di quanto tu possa pensare. Varie categorie di persone hanno tentato più o meno seriamente di conoscere questa fondamentale parte dell’uomo, arrivando più o meno lontano alla verità. Molti sono i nomi che questa parte di noi ha ricevuto, anima, spirito, ki…Ma il mio scopo non è quello di spiegarti la differenza tra questi termini, che, come del resto qualsiasi altra parola, non possono incarnare appieno il significato del concetto di cui ti parlo.
Ho detto che è una parte di noi: anche questo non è del tutto corretto. Potrei dirti che lo è nella stessa misura in cui i tuoi organi fanno parte del tuo corpo, o in cui i tuoi pensieri fanno parte della tua coscienza… Ma in realtà quello che siamo trascende queste distinzioni ancora una volta: è un organico, meraviglioso, perfetto unicum quello che noi siamo.
Una maggiore consapevolezza di sé stessi nella globalità di questo unicum reca maggiore serenità.”
“Voglio conoscere me stesso”
“Non sei il primo a dire una cosa del genere… E ciò non significa che tu non abbia ragione, o meno. Però è un buon punto di partenza.
Demolire ogni a priori, ogni pregiudizio, conscio o meno, in te sarebbe la cosa migliore, a questo stadio. Non esistono regole fisse, leggi e percorsi stabiliti. Ognuno di noi ha la responsabilità di destreggiarsi nelle varie scelte che gli si parano d’innanzi. Farlo con completa autonomia va a tuo onore. Prendere le giuste decisioni, quello è un altro discorso.
Cosa ti dice che quello che tu stai pensando non sia già stato pensato esattamente in questi termini da un altro come te o in termini opposti da un tuo opposto, o entrambe le cose, magari alternando le condizioni? Chi ti dice invece che forse sei proprio il primo a farlo in tal maniera? Ricorda questo dubbio: tale stato di indeterminazione può aiutarti a ricordare che forse ti stai prendendo troppo o troppo poco sul serio.
Se saprai chi sei, potrai essere te stesso.
Se sarai te stesso, gli altri saranno loro stessi con te e potrai conoscere anche loro. Ma un passo alla volta.
“Sei il risultato di ciò che pensi. Sei anche il risultato di ciò che provi. Le due cose hanno corrispondenza biunivoca, l’una influenza l’altra e viceversa. A questo punto è indifferente dove tu decida di agire per prendere il controllo di ciò che sei e di ciò che divieni. La maggioranza tende a controllare meglio i pensieri che le emozioni, ma non è detto che debba essere necessariamente così anche per te.
Inserisciti in questo circuito coscientemente, il procedimento ha risultati sicuri che filtreranno fino all’inconscio e oltre, se sei fortunato.
Questo che ti sto presentando è uno strumento di controllo sul tuo essere.
Puoi usarlo anche come strumento autoconoscitivo. Mi ripeterò, ma da questo deriva che potrai comprendere anche coloro che ti circondano.
“Chiediti sempre il perché di quello che hai appena pensato o detto. Se non trovi in te diversi motivi validi a sostegno dell’affermazione, scartala perché probabilmente non viene da dentro di te.
Ricerca ovunque invece cose, princìpi in cui credere, sulle quali fare affidamento e costruire, basi valide. Da lì passo passo costruirai te stesso, ritrovando quello che non credevi di aver mai avuto.
“Sforzati costantemente di pensare positivo. I tuoi pensieri/emozioni influenzano l’esito delle tue azioni e quelle degli altri molto più di quello che credi. Non convincerti che andrà male riguardo a niente, o ne comprometterai davvero il risultato. Convinciti di ottenere invece esiti positivi, e incrementerai le possibilità di conseguirli.
Si chiama ottimismo, ed è una buona cosa.
Ci vuole forza, è vero. Impegno.
“Maestro, ho fatto un viaggio dentro me:
Esco. Ascolto, guardo, annuso. Tutto intorno a me sembra nascondere qualcosa, tutto sembra messo lì ad aspettarmi. Non gira un’anima, eppure non sono solo. Penso al passato ed al futuro, ma non ci capisco granché. L’ambiente è inquietante, perché è troppo tranquillo e rilassante. C’è anche un bel panorama. Vedo l’universo.
Non sento nulla, a parte il canto delle creature alate, invisibili, onnipresenti. “Sarà tutto finto?”, mi chiedo, ma tutto è fin troppo verosimile. Chiunque non avrebbe potuto che rilassarsi, e sono teso come la corda dell’arco che sta per lanciare la freccia. In alto scorgo una caverna. “E’ troppo alta per arrivarci”, penso, e immagino di trovarmi al suo interno. Mi trovo al suo interno.
Non c’è niente, se non la nuda roccia sulla quale mi appoggio per non vacillare. Dopo una curva c’è una galleria, di cui non vedo la fine. Ai lati ci sono innumerevoli quadri, tutti raffiguranti persone. Le conosco tutte, tranne una. Mi soffermo davanti a questa. Sullo sfondo del quadro c’è un lago, una montagna, fiori, una casa. "Come mi piacerebbe essere lì!", penso. Mi trovo lì.
Il paesaggio è identico, solo non c’è la casa. Il lago sembra dire “tuffati”, ma per il momento preferisco di no, perché la sua limpidezza mette soggezione. La montagna, come un imponente monito dice torna indietro. Quindi mi volto.
Vedo un’immensa valle, verdissima, irrigata da molti fiumi blu, verdi. Il cielo è azzurro, c’è foschia. Ascolto strida come di animali sconosciuti. Voglio attraversare la valle. Ho attraversato la valle (comincio ad abituarmi).
Metto piede su una collina. Sulla cima c’è un cartello a forma di freccia che punta verso l’alto. Guardo in su e vedo un foro. Stavolta non desidero recarmi lì, ma mi ci trovo lo stesso. E’ come una soffitta. Il tetto è scuro e non si vede. Il pavimento è la notte, ci sono anche le stelle. Volendo ci si può vedere attraverso. In fondo alla “soffitta” c’è una cassa di legno. Voglio vedere cosa c’è dentro. La cassa si apre. Dentro c’è un vecchio libro polveroso. Lo apro: è un album di fotografie. Non conosco nessuno di quelli che vedo nelle foto, ma i paesaggi mi sono tutti familiari. Ne riconosco uno in particolare: è un’isola tropicale. Vado (lo voglio) sull’isola.
Mi ritrovo davanti ad un oceano caldissimo. Dietro di me c’è una foresta fittissima. Seguo la costa. Arrivo ad un promontorio. Sopra c’è un faro. So che è abbandonato. Mi porto sulla cima. Dai quattro angoli di vetro si vedono i quattro angoli del cosmo. Nel primo non si capisce niente, è un caos totale (ma creativo). Nel secondo si distinguono stelle, pianeti, corpi celesti. Nel terzo c’è una seconda confusione (stavolta distruttiva). Nel quarto ci sono altri pianeti, stelle eccetera, simili a quelli del secondo ma più belli. In questo vorrei andarci, ma non ci riesco. Torno indietro.
Al centro dell’isola c’è un vulcano. Vado sul bordo del cratere. So che la lava al suo interno non brucia quindi ci vado dentro. Il paesaggio cambia istantaneamente, e mi trovo in una sorta di vasca senz’acqua, al centro di una stanza. Da un oblò si vede il mare. Dall’altro si vede il cielo. Non c’è via d’uscita. Mi allontano dagli oblò fino a che i miei occhi puntano uno in un’apertura e un’altro nell’altra. Quindi esco dalla stanza.
Sono su un’isola. Galleggia nell’aria. C’è un ponte. Scende a spirale verso terra, nella foresta. Scendo dall’ultimo scalino e mi ritrovo sull’isola galleggiante. Penso di far girare l’isola. L’isola gira su se stessa facendo toccare al ponte il bordo di una fessura nella parete rocciosa. Scendo dal ponte. Sull’ultimo scalino la fessura si ingigantisce a dismisura.
Guardo in là e vedo una stanza senza tetto, è notte ma non c’è luna. Ci sono molte fiaccole che illuminano una specie di arena al centro della stanza. Cammino fino al centro dell’arena. C’è un cerchio rosso. Guardo il non-tetto. Appare la luna. Vengo tirato su ed entro nella luna.
Sto volando. Vedo campi, fattorie vuote, strade deserte, e dei rilievi in lontananza. L’odore che sento mi ricorda qualcosa. Prendo coscienza del fatto che so volare. Quindi cado. Appare un mucchio di paglia che mi salva. Davanti a me c’è un mulino a vento diroccato, molto macabro. Mi avvicino. La fonte di luce presente nell’ambiente tramonta improvvisamente, proiettando su di me l’ombra del mulino. Il mulino ha quattro pale. In una c’è una caverna, in un’altra c’è una montagna, in un’altra c’è un vulcano, nell’ultima c’è un gallo a vento. Al centro ci sono delle iscrizioni che non capisco. Perdo i sensi.
Mi sveglio, sono su una mongolfiera. C’è una luce bianca. Sotto di me c’è il mare. Non c’è vita. Vedo una specie di boa. Ci vado. La boa sparisce, si forma un vortice d’acqua che mi risucchia. Mi trovo in una galleria di vetro. Il panorama è spettacolare. Cammino per metri, forse chilometri. Sembra tutto uguale. Voglio qualcosa di diverso. Improvvisamente appare un bivio. A sinistra si scende, c’è una luce rossastra. A destra si sale, c’è più luce che qui. Non so che fare, rimango fermo. Appare un ascensore trasparente. Ci entro.
Ci sono tre pulsanti luminosi. L’ultimo in basso è acceso, indicandomi dove sono. I pulsanti non si premono. Penso a come potrebbe essere il terzo pulsante acceso. Si accende, ed è esattamente come lo immaginavo. Scendo in un sentiero di mattonelle.
Tutt’intorno ci sono aiuole e siepi. Ho paura di perdermi. Da una parte c’è un distributore di gomitoli. Penso che sia una presa in giro, poi penso che sia una presa in giro molto utile. Prendo un gomitolo. Il filo è arrotolato attorno ad un cilindro di metallo cavo. Guardo all’interno, e vedo che il paesaggio è completamente diverso. Seguo la diversità del gomitolo fino a che arrivo davanti ad un muro. Scosto il gomitolo dall’occhio e vedo un prato immenso. C’è di nuovo la caverna dei quadri. Entro cerco il quadro dello sconosciuto. Ora lo riconosco. Sono io.”
“Devo dire che possiedi una discreta dose di intuizione. Tutto quello che hai scritto è potenzialmente vero. Almeno, lo è nella misura in cui proviene da te. Sicuramente, a questo stadio, risentirai ancora delle imposizioni e delle influenze esterne. Ma non preoccuparti.
Non interrogarti freneticamente sul significato di queste immagini, come fanno molti, con tediosi o ingegnosi procedimenti. Non ti parlerò della loro validità… ti sto dicendo di trovare il tuo modo di capirti. Non affidarti ad altri. Non affidarti a me. Diffida di ciò che ti sto dicendo, ancora: non ho la verità assoluta. Quello che dico può valere per tutti, per uno, per nessuno. Può valere in tutti i casi, in un caso, mai. Ma il fatto che io possa enunciarlo dovrebbe significare qualcosa, non trovi?
Allora, abbandonati alle tue visioni. Riesuma il potenziale creativo seppellito dagli schemi imposti. Ascolta il tuo essere vibrare e comunicare nel suo unico modo, del tutto peculiare e irriproducibile. Pervaditi di questo, sali sulla nave del tuo istinto e molla gli ormeggi. La prima spiaggia su cui approderai sarà in genere quella giusta. Ti aspettavi che ti illustrassi il significato di ciò che mi hai mostrato?”
“No, maestro”
“Bene, vedo che inizi a capire”
“Come ho detto, la tua fede influenza ciò che accade. Non ti spiegherò se la tua mente influenzi la realtà o se si illuda di farlo o se sia la tua percezione in proposito a cambiare. Ma l’importante è il risultato. Secondo te è più felice colui che sa di stare facendo una cura contro la sua malattia o colui che guarisce perché crede di non avere nulla? Riponi fiducia nelle tue capacità, nelle tue energie, nel tuo corpo. Non tradire loro e loro non tradiranno te. Prenditi cura di loro e loro ti sapranno ricompensare. Impara ad amarti. Se non sai amare te stesso non potrai amare gli altri, e probabilmente non sarai neanche amato. Ma non posso ora parlarti anche dell’amore, impiegheremmo troppe vite. Prendilo solo come presupposto fondamentale del mio discorrere.”
“L’amore è il presupposto fondamentale…”
“Esatto. L’amore universale; è la prima cosa, causa e fine del tuo essere, unico in questo. A causa dell’amore esisti, ed esisti per amare. Non l’arte, l’amore è fine a se stesso e non ha bisogno di ulteriori motivi per essere e manifestarsi. Non ha bisogno di definizioni, quindi non ne parlerò oltre. Trovati uno scopo nella vita. Solo: fa’ che sia imperniato sull’amore.”
“L’energia scorre attraverso te lungo molteplici sentieri. Essa arde nel tuo corpo come fuoco, scorre in te come acqua e ha la dinamica del vento. Puoi riscoprirla come una vena d’oro semisepolta nella roccia.
E’ la forza più potente di cui dispone la tua volontà: controllarla significa controllare il proprio corpo e la propria mente (ancora diverse espressioni dello stesso unicum) e fare questo al massimo grado implica una suprema serenità oltre a una salute perfetta.
Nessuno è mai riuscito ad arrivare alla perfezione, ma questo è purtroppo un limite della nostra attuale natura imperfetta.
Tale controllo, tale accresciuta consapevolezza di sé, è correlato alla aderenza del nostro essere al modello secondo il quale siamo stati creati. L’unico modo è seguire le vie dell’amore, sforzarsi con ogni grammo di forza di seguire ciò che spesso ci sembra la cosa più difficile da fare.
Col tempo imparerai ad ascoltarti, percepire dapprima per intero i tuoi pensieri e le tue emozioni. Quindi comincerai a vedere parte delle stesse cose presenti in te negli altri, e saprai riconoscere in loro comportamenti e cause delle quali non avresti mai sospettato prima. Affinando ulteriormente la tua consapevolezza riuscirai a percepire in te la tua propria energia, inizialmente sottile e ineffabile come un alone di vapore nella luce del mattino, poi sempre più delineata e precisa come percorsi di luce. Indirizzala a tuo piacimento, ma rispetta la sua natura d’amore, altrimenti si ritorcerà contro di te, e perderai tutto ciò che hai guadagnato.
06/02/05 22:20 Atto di rispetto a Dustin Hoffman
La certezza su questo mondo purtroppo
( tranne alcuni rari casi ( ti invito a
leggere l'articolo di cui sopra )
( che provvederò ad inviarti appena lo termino
) ) non esiste, (quindi il fatto di aver ricalcolato
12 volte il problema (con varie varianti )
e l'aver trovato gli errori che hanno commesso
i miei compagni, anzi, camerati
( basandomi unicamente sui risultati che hanno
detto di aver trovato ) ).
In base al suddetto postulato non posso
iniziare a gongolarmi, ne a disperarmi,
il che è duplicemente brutto perché mi
consente di illudermi ( anzi peggio di
auto-illudermi ) ma non di prepararmi
alla umiliazione.
Ma non temere se riesco ( entro domani
sera quando torno a casa ) a capire come
si inviano le e-mail dal cellulare
( costa meno di un messaggio !!! )
(altrimenti molto più semplicemente te
la mando il pomeriggio da casa ) saprai se
dovrai inviarmi l'ennesimo tributo di rispetto
ed ammirazione, o apprendere tra
mille giri di parole un ignominioso fallimento.